di Carlo Parenti · “Paolo Toni ci fa proprio un bel regalo con questo libro prezioso che attraverso il racconto della sua esperienza e dei ricordi di una intera vita accanto a Don Corso Guicciardini ci offre un emozionante ritratto di questo uomo di Dio. Sono pagine che fanno riflettere anche chi, come me, non ha conosciuto personalmente don Corso. Don Corso è ricordato come un uomo umile, mite e buono, un toscano ironico e soprattutto autoironico, sempre lontano dai protagonismi, nascosto per scelta, ma coraggioso e indomito strumento della Provvidenza.
Nasce conte nel 1924 nella famiglia Guicciardini. Laureato in ingegneria è uno sportivo, va a vela e partecipa a concorsi ippici di salto. La famiglia è ricchissima, la nonna di Corso fu ‘prima’ dama di corte della regina Elena. Ma “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito” (Gv. 3, 8). Don Corso conobbe Gesù nell’amore per la “povera gente”, nei poveri e nei sofferenti della Madonnina del Grappa di don Giulio Facibeni, dell’Opera di San Procolo di Giorgio La Pira e don Raffaele Bensi e della San Vincenzo dei Paoli: è l’istanza evangelica della povertà, non solo come ideale di vita personale ma come strada obbligata dell’annuncio evangelico della Chiesa tutta”.
Così l’arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, Matteo Maria Card. Zuppi, nella sua prefazione al volume DON CORSO GUICCIARDINI, GIGANTE DELLA CARITA’, “SEMPRE IN UN CANTUCCIO” di Paolo Toni, Società Editrice Fiorentina,2023.
Don Corso Guicciardini, successore del venerabile don Giulio Facibeni alla guida dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa, muore a 96 anni, ben consapevole del cambiamento d’epoca di cui parla papa Francesco.
Nella sua profetica ultima lettera del 14 aprile 2020 all’autore e a Gianna, sua moglie, riportata integralmente nel libro, don Corso scrive sulla necessità per l’Opera di rinnovarsi per evitare di fermarsi senza dare risultati nuovi al passo coi tempi, deludendo le persone e specie i giovani. Raccomanda quindi di avvicinarsi a loro «senza pretese, senza risultati da raggiungere, ma con desiderio di portare qualcosa di nuovo, di puro, di sincero» evitando il pericolo di guardare indietro. Ciò in accordo con il pensiero di Benedetto XVI e Francesco. È il tema del proselitismo e delle appartenenze: la Chiesa non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, per testimonianza evangelica.
Precisa che: «la lettera vuol essere una specie di intermezzo che si frappone tra il passato e il futuro: la necessità di mettere un movimento di persone che si fidano ancora di noi e che ci chiedono cose nuove […] questo è in fondo il significato della lettera: trovare una zeppa per fermare questa Opera da un andamento che per ora ci porta più al passato che al futuro»
Infine, con lucida comprensione del presente storico, quasi a monito per chi gli succederà, afferma: “…il pericolo è che la macchina dell’Opera (non funzionando il freno a mano) non si fermi e quindi questa Opera, questa macchina non dia più dei risultati vivi, interessanti, nuovi ma una ripetizione di cose già vissute.”.
Così don Corso conclude “Rileggendo questa lettera la trovo tutto sommato più interessante di quel che pensavo perché vuol fermare una macchina il cui freno a mano non funziona più”.
Paolo Toni, che è stato l’ultimo presidente dell’Unione Figli dell’Opera Madonnina del Grappa (oggi, incredibilmente soppressa, nonostante siano ancora in vita molti figli) ci racconta come la sua vita cambiò radicalmente grazie alla relazione concreta e vera con don Corso, maestro di carità. Un libro, scrive, «per tutti coloro che non hanno sperimentato una paternità “donata”, gratuita, per certi aspetti superiore a quella biologica». Ma quasi a scusarsi aggiunge: “Parlerò di lui attraverso la vita che ho vissuto accanto a lui e quindi, inevitabilmente, dovrò parlare anche di me. Ma il mio obiettivo è far risaltare la sua bontà nella mia storia”.
La testimonianza di Paolo Toni su don Corso è scritta col cuore, ma voglio aggiungere che anche il racconto iniziale della sua dolorosissima infanzia merita un plauso. Vivrebbe da solo come libro meritevole di lettura. È incredibile quello che ha sofferto (aggiungo che Paolo ha molto patito anche per far uscire il libro per l’ostracismo che ha subito per quasi un anno da chi avrebbe invece dovuto essergli riconoscente senza condizioni). È una narrazione anche sul secolo scorso e uno spaccato della vita quotidiana del dopo guerra. Abituato come sono a leggere dotti saggi o autori paludati, debbo riconoscere a Paolo la capacità di essere essenziale senza indulgere alla retorica, al protagonismo e a tenere sempre alta l’attenzione e la sorpresa. Inoltre, l’inedito ricco apparato documentale che correda la narrazione è prezioso e apre panorami per future ricerche storiche.
Veramente un bel libro che in questi tempi bui fa risplendere la luce delle persone buone e del bene.