Comunione ed esame di coscienza. Ci sono dei consigli per accostarsi all’Eucarestia nel modo giusto?
di Gianni Cioli · Recentemente e in più occasioni mi sono trovato di fronte alla domanda relativa all’eventuale rapporto fra il sacramento della penitenza e il sacramento dell’Eucaristia e a quella se vi possono essere consigli utili per accostarsi all’Eucarestia nel modo giusto?
Penso che una valida risposta ce la possa offrire la dottrina del Concilio di Trento che, nel Decreto sull’Eucaristia (sessione XIII: 11 ottobre 1551), da una parte esorta a ricevere questo sacramento «come cibo e come antidoto, con cui liberarsi dalle colpe d’ogni giorno ed essere preservati dai peccati mortali» (DS 1638) ma, dall’altra, ricorda «che nessuno, consapevole di peccato mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa Eucaristia senza aver premesso la confessione sacramentale» (DS 1647).
La Chiesa, dunque, in forza della sua tradizione più autorevole, espressa nel Decreto conciliare tridentino, ci esorta a fare la Comunione tutte le volte che è possibile perché ci ricorda che questo «cibo spirituale», l’Eucaristia, ci libera dalle «colpe di ogni giorno», cioè dai peccati veniali (che non privano della grazia santificante) e ci preserva dai peccati mortali (che privano della grazia santificante). La Chiesa ovviamente non ci obbliga a fare la Comunione tutte le domeniche, (l’obbligo esiste ma è limitato a una volta all’anno!), ma certo ci fa capire che rinunciare alla Comunione significa privarsi di un grande aiuto spirituale che il Signore ci ha donato nella sua bontà, consapevole dei nostri bisogni.
Certo, proprio la consapevolezza della grandezza e della bellezza del dono ci spinge a non accostarci al Sacramento in una condizione indegna e quindi, come puntualizza il Concilio tridentino, ciascuno deve esaminare se stesso con sincerità e desiderio di conversione, e confessare i peccati gravi di cui avesse consapevolezza, prendendosi sinceramente a cuore l’impegno per la propria salvezza eterna. Ma chi non avesse consapevolezza di aver commesso peccati gravi non dovrebbe aver timore di accostarsi all’Eucaristia.
Questo naturalmente non toglie il valore della confessione frequente anche dei soli peccati veniali, che la Chiesa raccomanda, ma non la si dovrebbe collegare meccanicamente al volersi accostare alla Comunione.
Il problema è che è mancata nella Chiesa la capacità di educare i cristiani ad un esame di coscienza serio e sereno. In passato, infatti, il timore di essere in peccato mortale portava i cristiani a ritenere che fosse necessario confessarsi ogni volta che intendevano accostarsi alla Comunione, col risultato che alle messe domenicali, nonostante la dottrina incoraggiante del Concilio di Trento, facevano la Comunione davvero in pochi. Forse era di fatto prevalso, nella visione antropologica che orientava la catechesi, un certo pessimismo sulle effettive capacità del cristiano medio di auto-esaminarsi, con verità. O forse, sempre in un orizzonte fortemente segnato dal pessimismo, si riteneva praticante impossibile evitare di commettere peccato mortale, anche solo per qualche giorno. Oggi al contrario si ha l’impressione che molti di quelli che partecipano alla Messa, anche a giudicare dalla scarsità delle confessioni, si accostino alla Comunione senza farsi grandi problemi circa i propri peccati e, più che altro, senza aver fatto alcun esame di coscienza.
In entrambi casi è mancata, e manca, la capacità di discernere, o, per meglio dire, di educare al discernimento, sulla base di una visione antropologica realistica ed equilibrata, né pessimista, né ottimisticamente ingenua. In entrambi i casi si è rischiato, e si rischia, di perdere la gioia della conversione.